La spina dorsale di asfalto lungo il deserto del Negev ci appare ancora più sottile quando una moltitudine di camion porta-carro-armati ci viene incontro: un gregge di ferro, aggressivo, di un verde appassito come le foglie degli iris, simbolo della Giordania. Si dirigono verso sud, in silenzio. La stagione dei fiori è terminata, quella degli scontri sembra non avere mai fine. La strada per Ma'an è bloccata dall'esercito giordano, in lotta contro i beduini. Un giovane è morto, i feriti sono diversi e il governo del Paese che ci ospita teme per i turisti. Raggiungere Allenby e sconfinare in Palestina sembra più complicato del previsto. Risaliamo in solitario la strada lungo il Mar Morto. Viaggiamo stipati verso Gerusalemme, Francesco, Marco ed io, circondati da dune perfette e sguardi di cammelli assopiti.
Dopo circa un'ora di cammino, il paesaggio comincia a cambiare. Le torri militari di avvistamento si fanno più rade e, in lontananza, ci appare il Mar Morto, biancastro, salino, assetato. La gente lungo la strada vende angurie, meloni, pomodori, tra asfalto e terra bruciata. Sfruttano quel poco di terreno coltivabile tra le montagne rocciose e il Negev.
Convinco i ragazzi a cercare Sodoma e Gomorra, le due mitiche città dell'Antico Testamento distrutte da Dio, secondo i Testi Sacri, in una tempesta di fuoco. La guida indica i resti di Numeira e Bab Ad Dhra, le due fortificazioni dell'età del ferro incenerite in circostanze misteriose, come le due possibili Sodoma e Gomorra. I resti di petrolio e bitume, contenenti sacche di gas naturale, potrebbero essere la probabile causa di un incendio di vaste proporzioni, riconducibile al mitico racconto biblico.
Ci fermiamo a domandare nei pressi della grotta di Lot. Secondo la Bibbia, quando Dio decise di distruggere Sodoma e Gomorra, due angeli vennero ad avvertire Lot, il quale fuggì con la moglie e le figlie; ma durante la fuga sua moglie, per aver contravvenuto all'ordine di non voltarsi a guardare, fu tramutata in una statua di sale. Lot si rifugiò invece presso queste montagne.
Non riusciamo a trovare Sodoma e Gomorra. Nessuno ha idea di dove siano i resti archeologici, neppure i beduini sanno aiutarci. Non c'è traccia di quanto descritto nella guida. Solo la statua della moglie di Lot, un pinnacolo di pietra naturale, svetta oltre le nostre teste, lungo la strada.
I ragazzi mi prendono in giro, io sento quella fuga e quella distruzione biblica come una metafora di un vissuto personale. Ne sono vivamente affascinata. Così come la rilettura in chiave analitica di alcuni racconti mitici, che hanno condizionato la storia dell'umanità, mi incuriosisce e mi appassiona.
Ad Allenby lasciamo la macchina custodita in un parcheggio e ci dirigiamo in taxi verso il controllo passaporti, stipati fino all'inverosimile. Inizia il nostro Calvario: il complicato attraversamento della frontiera giordana, e poi quella palestinese.
Controllo bagagli, controllo passaporti, scansione dell'iride, consegna passaporti, pagamento degli oneri e poi fuori in attesa, abbandonati, al sole, sudati, stanchi, in un'aria densa, maleodorante, di un'umidità insopportabile. Alcune persone dormono buttate per terra, un bambino gioca tra il sudiciume di questo non-luogo, altri guardano in lontananza, cercando di scrutare il prossimo autobus in direzione Palestina. Questo non è un luogo di turisti. Non è neppure una frontiera vera e propria, perché la Giordania non riconosce il controllo israeliano dei confini palestinesi. È un posto ignorato da qualsiasi Dio, dove il tempo gioca a carte e si dimentica di te. Attendiamo oltre un'ora, poi, stretti tra il conducente e il cruscotto sudicio, Francesco ed io, e Marco seduto dietro insieme ad altri turisti, partiamo in direzione Palestina. Altro controllo passaporti poco più in là e poi scaricati, come bestiame, davanti alla lunga coda per il controllo dei passaporti da parte delle autorità israeliane. Lasciamo i bagagli, ci dirigiamo verso il primo check point. Passiamo stanchi, senza troppi intoppi. Venti metri più in là, altro controllo. Ci rilasciano il visto. Pochi metri ed altro controllo. Sembra non terminare più. Oltrepassiamo il tornello. Siamo in Palestina.
Ritiriamo i bagagli e cerchiamo un taxi collettivo.
Fuori, tra filo spinato e campi minati, il caos. Code per trovare un mezzo fino a Gerusalemme, bagagli sparsi e sole cocente. Un ragazzo ci sfreccia davanti a tutta velocità. Dietro di lui, un gruppo di ragazzi armati fino ai denti lo insegue di corsa. Ci fanno rientrare in fretta e furia dentro il terminal. Sembra un tentativo di attentato, sventato all'ultimo momento. È il panico, per un istante. Poi scopriamo trattarsi, in realtà, di un'esercitazione militare. E ci rimettiamo in fila, per un taxi.
Seduta in coda al pulmino, mi sento mancare, le ultime forze mi stanno abbandonando. Vorrei scivolare nel sonno ma ci fermano per un altro controllo passaporti e la tensione aumenta di nuovo. Sono stremata, confusa da tutti queste perquisizioni e dalla tensione che non cala mai. Mi chiedo quanto ne sia valsa la pena lasciare la Giordania, il deserto rosso di Wadi Rum, i beduini di Petra, il mare turchese di Aqaba per questo nervosismo e il costante sospetto di trovarsi tra terroristi o di essere considerati tali.
Vorrei tornare indietro, ma non si può. Come la moglie di Lot, non posso neppure voltarmi per osservare quello che sto lasciando alle spalle. Perché il deserto rosso di Wadi Rum, i beduini di Petra, le acque turchesi di Aqaba sono state tappe di un viaggio interiore molto più che geografico: il bisogno di voltare pagina, di esplorare altri territori oltre a quelli dolorosi, già conosciuti. Il confronto con l'altro è diventato il modo per prendere coscienza di essere diventata un'altra persona. Non soffro più di vertigini. Come direbbe Kundera: non sento più il desiderio di lanciarmi in un vuoto per niente metaforico.
Non mi è ancora del tutto chiaro, mentre socchiudo gli occhi, che aldilà di questa frontiera, ho lasciato una geografia di eventi ormai distanti. Ho davanti a me nuovi luoghi di gioia e di ristoro dell'anima.
Mi volto verso il finestrino e intravedo le meravigliose cupole dorate di Gerusalemme al tramonto. Non ho mai visto uno spettacolo così dirompente, di una città bruciata dal calar del sole.
Nel luogo della morte e della resurrezione per antonomasia, dopo tanto tempo, finalmente mi sento rinascere.