A Travellerspoint blog

Wadi Rum

Nel deserto nudo, sotto un cielo indifferente


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Ore 7.30 del mattino, parto in solitario da Petra, in direzione sud, verso Wadi Rum, attraverso la King's Way, la strada del deserto.

Wadi Rum è uno dei deserti giordani, il più famoso tra tutti, reso celebre dalla figura di T.E. Lawrence, scrittore, archeologo, agente segreto per conto del governo britannico, paladino dei nomadi del deserto e profondo conoscitore della cultura araba. Laureatosi con una tesi sui castelli crociati in Siria e studioso della cultura omayyade, è ricordato ancora oggi dai beduini come un loro idolo perché fu a capo della rivolta contro gli ottomani, arrivando a sabotare persino la linea ferroviaria che collegava la Medina a Damasco nel tentativo di scacciare gli invasori. Fu così fedele ai suoi principi da arrivare persino a rifiutare onorificenze da parte di Sua Maestà la Regina quando, al termine della guerra, la spartizione dei territori non fu a favore degli arabi ma a favore dei governi di Francia e Inghilterra.
Scrisse "I sette pilastri della saggezza", titolo che si ispira alla montagna all'ingresso del paese beduino di Wadi Rum, un colosso di sette pinnacoli che mi accoglie circa due ore dopo aver lasciato Petra, in un silenzio che stordisce.

Lasciata l'auto, mi accoglie Saleh, un beduino che mi accompagnerà nel deserto. Mi arrampico fino alla Lawrence's spring, una fonte naturale in cima ad una montagna nel deserto, risalgo le dune rosse, visito le iscrizioni nabatee e i canyon, incappo in una tempesta di sabbia. All'uscita da una stretta gola, un mulinello di sabbia mi centra in pieno, scaraventandomi addosso pietre come se fossero pesanti proiettili e trascinandomi via. Passato il pericolo, rimonto sulla jeep di Saleh in direzione Arabia Saudita per le ultime dune rosse, a caccia di tramonti. Il nostro accampamento è situato a ridosso di una collina rocciosa sulla quale salgo per assistere ad uno spettacolo meraviglioso in tutte le sfumature del rosa e dell'arancio.

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I beduini preparano la cena, cucinando la carne interrata nella sabbia, con un sistema tradizionale di cottura naturale. Ci servono il loro tè mentre il cielo si va oscurando. All'ombra di un falò, i beduini cantano e suonano. Io sono su una collina da sola, lontana da tutti, a bocca aperta e col naso all'insù, con l'anima ricoperta da uno spesso manto di stelle. Uno dei cieli più belli mai visti in tutta la mia vita. Una stella cadente attraversa la costellazione dei gemelli, poco sopra Saturno. Riconosco diversi pianeti e costellazioni mai viste prima. Una gioia per gli occhi e per il cuore.

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All'alba ci risveglia il profumo del pane e del labaneh, un intruglio tipico di queste parti. Un altro tè, l'ultimo e ripartiamo prima che faccia di nuovo caldo.

Prima di abbandonare il deserto, visito la locomotiva sulla linea sabotata da Lawrence. Fascino di altri tempi, tra cammelli spossati e carrozze di prima classe.

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Non ho ancora deciso dove andare dopo aver lasciato Wadi Rum. Arrivo al bivio sulla strada e decido. A destra il Mar Morto, a sinistra il Mar Rosso.

E Mar Rosso sia. Da qui in poi non ho nulla di prenotato, sarà tutta un'avventura.

Posted by Marina_Calypso 01:19 Archived in Jordan Comments (3)

La città rosa

Petra

"Tutti gli uomini sognano: ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini: ma coloro i quali sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni a occhi aperti, per renderli possibili" (I sette pilastri della saggezza - T. E. Lawrence)

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14 ore all'interno della città rosa, Petra, dalle prime luci dell'alba fino ad oltre il tramonto, tra siq, tempi in bilico, urne abbandonate, strade polverose e panorami indescrivibili. Ho bevuto il tè alla salvia con i beduini, ho mangiato, discusso, filosofato, scherzato insieme a loro e, infine, mi hanno truccata e vestita come una donna delle loro tribù. Sono il vero cuore di Petra.

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Ma non c'è niente di più emozionante che ripercorrere i propri passi all'interno della città quando non restano che i falò dei beduini a rischiarare qualche angolo buio, e i turisti non ci sono più. Su Petra cala il silenzio, interrotto casualmente dal suono degli zoccoli degli asini e le ultime risa dei bambini.

Allora una miriade di stelle ruberà lo spazio al cielo e quello strappo di firmamento rimasto intrappolato ai margini del siq, vi toglierà persino il fiato.

Posted by Marina_Calypso 00:20 Archived in Jordan Comments (0)

Lungo il Giordano

Madaba, Monte Nebo, Betanìa

sunny 30 °C
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La strada che conduce a Madaba, verso sud, si apre tra campi di angurie e pomodori. I coloratissimi braccianti sembrano essere già al lavoro da ore, con pile di cassette di legno accatastate lungo i campi. Le donne con i loro fazzoletti annodati, portano sul capo ceste cariche di frutta, mentre uomini assonnati all'ombra di palme e ulivi rivendono la merce ai bordi polverosi della strada. Il sole è già alto e l'aria è afosa, densa, irrespirabile.

A Madaba voglio visitare il mosaico della chiesa ortodossa di San Giorgio, un'enorme mappa risalente al sec. VI D.C. , raffigurante la Terra Santa, dal Libano al Delta del Nilo. Il mosaico è vasto, occupa quasi metà della chiesa, e vi sono raffigurate tutte le città più importanti dell'epoca, da Gerico a Betanìa, dove Giovanni battezzò Gesù. La mappa, che serviva durante le funzioni per coinvolgere maggiormente i fedeli nella narrazione dei testi sacri, ha un importante valore scientifico, perché dimostrerebbe che l'ingresso a Gerusalemme fosse in realtà da un altro lato della città. Recenti scavi hanno dimostrato la veridicità dell'informazione, ritrovando a 4 metri sotto il suolo, l'originale pavimentazione.

La visita a Madaba fa parte di un mio breve itinerario lungo alcuni dei luoghi sacri dell'Antico e Nuovo Testamento, tra Giordania e Palestina. Per quanto io non sia credente, la figura di Gesù mi ha sempre incuriosita: le tesi che ruotano attorno alla sua figura, le rivelazioni degli scritti apocrifi, le prove più o meno scientifiche della sua esistenza. Mi affascina anche capire come alcuni eventi, con una probabile spiegazione scientifica, siano stati rivisti in chiave soprannaturale, influenzando la vita di milioni di persone perché definiti in un libro di ispirazione "divina". Non confuto i principi della Bibbia ma mi interrogo su alcuni luoghi ed eventi, dall'Arca di Noé alla separazione delle acque del Mar Rosso, dalla distruzione di Sodoma e Gomorra ai miracoli di Gesù. In fondo, viene da chiedersi quanto sarebbe stata diversa la vita di interi popoli se talune circostanze avessero avuto una spiegazione scientifica.

Uno degli eventi certamente più significativi è la salita al Monte Nebo dove Dio promise a Mosè una terra per il suo popolo, gli ebrei.

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Il Signore disse a Mosè: "Da' questo ordine agli Israeliti e riferisci loro: Quando entrerete nel paese di Canaan, questa sarà la terra che vi toccherà in eredità (...) Questo sarà il vostro paese con le sue frontiere tutt'intorno. (...) Sali su questo monte degli Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gèrico, e mira il paese di Canaan, che io dò in possesso agli Israeliti. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati. (...) Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!".

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Secondo gli eventi narrati nella Bibbia, Mosè morì proprio sul monte Nemo e qui fu sepolto.

Vi salgo anch'io, in religioso silenzio.
Sulla spianata, leggo brani tratti dal Deuteronomio.

Un gruppo di giovani nigeriane si avvicina intonando canti gospel, trascinando in un vortice di suoni e colori anche un gruppo di suore indiane intente a pregare in ginocchio davanti alla basilica. È subito festa.

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Pochi chilometri più avanti, tra campi di beduini e campi profughi, raggiungo Betanìa Oltre il Giordano. Secondo la Bibbia, Gesù venne qui per farsi battezzare da Giovanni.

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In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?"

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Incontro due ragazzi etiopi e un beduino. Insieme visitiamo il luogo sacro. Il Giordano si è ridotto tantissimo nel corso dei secoli, soprattutto a causa degli impianti di irrigazione dei campi costruiti dagli Israeliani, ci spiega la guida. Non è più un fiume da attraversare in barca, come ai tempi di Gesù ma poco più di un torrente dalle acque dense e verdastre.

Alziamo lo sguardo.
Siamo a pochi metri dal confine tra la Palestina e la Giordania. Qui vengono in migliaia ogni anno per farsi battezzare, in un luogo ritenuto sacro per diverse religioni. Nonostante la sacralità del luogo, la polizia ci tiene puntati i mitra addosso, da lontano, quasi fossimo pericolosi criminali. Di recente, il Governo giordano ha appena approvato la costruzione di tre nuove chiese proprio a Betanìa, ci spiega la guida. Intorno, però, continuano a sorgere campi per i profughi siriani. Tende sudicie, tra animali e discariche a cielo aperto.
Una terra piena di contrasti, e non è questo quello che il mio Dio vorrebbe, se esistesse.

Riparto lungo il Mar Morto. È quasi il tramonto. Sosto per una notte in un albergo in collina dal quale ammiro malinconica l'ultimo calar del sole.

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Posted by Marina_Calypso 23:32 Archived in Jordan Comments (1)

Amman

Un caos mediorientale

sunny 30 °C
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Ore 2.30 del mattino, e sono sola ad Amman.
L'aeroporto è deserto. Mi ricorda la notte di dicembre in cui arrivai a Tehran. Così estranea nella solitudine. Eppure è tutto così diverso.
Avrei potuto farla più facile stavolta, trovarmi, ad esempio, un gruppo con cui viaggiare in compagnia. Ma non riesco a pensare a concepirmi in una vacanza, nessuno dei miei viaggi lo è mai stato, e gli scontri in gruppo, quando viaggiando ti cerchi e non ti serve altro rumore, diventano inevitabili. Partire il giorno di Pasqua, della Resurrezione, anche per una non credente come me, è poi come voler dare un senso alla propria rinascita, ad una delle tante che si affrontano nella vita. Si vive insieme, si muore soli, si rinasce in simbiosi con la Terra. Il caos non fa per me.

Amman all'alba è tutta nera. Sporca, abbandonata, sfregiata di rifiuti di ogni tipo. Solo le moschee sembrano intonse, bianche, staccate da ogni contesto urbano.

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Alle prime ore del giorno, mi incammino verso la Cittadella, il cuore storico di Amman, una fortificazione che include resti di varie epoche, templi, basiliche, palazzi reali, cisterne.

Al mastodontico tempio di Ercole, il cuore si fa piccolino e si tuffa nei ricordi dei fiori di camomilla di Corinto. La mente spazia senza respiro nei campi di ulivi circondati da papaveri, fino alle sponde del blu Egeo. Sento un po' di nostalgia.

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Oltre le colonne di Ercole e il palazzo omayyade, tra i labirinti di pietra, una donna con un fazzoletto in testa, china tra i fiori, raccoglie dell'erba. Si avvicina cantando e sorridendo. Indossa un abito palestinese ricamato a mano. Mi spiega con i gesti che lo ha fatto lei.
"Marina" - le dico indicandomi.
"Miriam" - risponde lei.
Prova a dire altro ma non ci capiamo. Chiama allora i suoi fratelli e la figlia, intenti ad osservare il panorama da una balaustra. Sono tutti di un paesino vicino a Gerusalemme.

"Stavo dicendo che Miriam canta molto bene!"
"Sono Umm Kulthum!" mi dice intonando un'altra canzone d'amore e mettendosi a ballare.
Che gioia.

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Risalgo una delle colline di Amman, attraverso le infinite ripide scalette scavate tra rocce e terreno, su per le case più eleganti della zona sud. Incrocio Rainbow Street, la strada più mondana, con bar moderni, dove spuntano persino locali per vegetariani. Scendo oltre la collina, fino all'hammam. In un basso locale a volte decorate e panchine di maioliche, cerco un attimo di silenzio, tra vapori, calidarium e un massaggio vigoroso. Il suono dell'oud si confonde col bendir. Distesa sulla pietra calda, vedo solo le luci delle lanterne sopra di me, giallo ocra, verde smeraldo, blu di Persia. Non distinguo più nulla.

Esco ed è di nuovo Amman, col suo caos infernale di auto che strombazzano infilandosi in ogni angolo senza un criterio ben preciso. È tutto un raccattare di oggetti sparsi per terra: libri, orologi dorate, vestiti di paillettes. È un frastuono di idee e grida che mi infastidisce e mi aliena. Le capitali non fanno per me. Racchiudono il peggio di ogni cultura, la disperazione di pensioni decadenti e marciapiedi sporchi, di profughi di idee e paesi lontani, la mercanzia scadente e il gesto della collera e del desiderio di fuga da questa povertà.

Solo al tramonto, oltre la collina, giunge un po' di pace. Al vento, una miriade di aquiloni colorati gareggiano con stormi di uccelli. Si accendono al canto del muezzin, le prime luci verso Gerusalemme.

Posted by Marina_Calypso 23:26 Archived in Jordan Comments (3)

Una sosta nel deserto

Di bazar, caravanserragli, cieli stellati e altre esistenze

overcast
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C'erano giorni in cui mia madre, entrando in camera mia con passo deciso, lo sguardo terrorizzato e le palme tremanti, rivolte verso l'alto come in preghiera, lanciava il suo epiteto disperato al cielo: "Questa stanza è un bazar!"

Sono sicura che mia madre in un bazar non ci fosse mai stata. Ne doveva aver sentito parlare in maniera un po' vaga come un luogo di caos ingestibile, dove il suo spiccato senso della pulizia e il suo gusto per l'ordine sarebbero stati certamente annientati dalle urla impolverate di mercanti volgari, dai sorrisi rozzi e sdentati.
Inaccettabile.
Ripetendo quella frase, con le pupille spalancate come di chi ha visto l'inferno, mia madre sperava inutilmente di terrorizzarmi. Invece, in maniera più che prevedibile, il solo risultato che riusciva ad ottenere, era quello di alimentare, già in tenera età, le mie fantasie esotiche, con fughe in terre lontane da Mille e una Notte.

Col tempo, l'epiteto di bazar fu assegnato a tutta la mia esistenza. La mia vita era diventata improvvisamente un insieme di banconi disorganizzati sui quali si andavano accatastando esperienze di dubbio gusto, paccottiglia di personaggi senza alcun apparente valore e collezioni di false filosofie. Ogni tanto provavo inutilmente ad aggiustare il tiro ma restavo sempre in quel bazar esistenziale, dedalo di vicoli bui e inganni dai quali, per destino o inclinazione, secondo mia madre, non sarei mai più uscita.

Quando fu il momento di visitare il mio primo vero bazar, quello di Teheran, avevo già da tempo dimenticato le opinioni sulla mia esistenza e, di fatto, tra i banconi di stoffe dipinte a mano, gabbie di uccellini, scatole in osso di cammello e lapislazzuli, si alternavano soltanto grandi sorrisi, disponibilità e tanta curiosità nei confronti di chi, come me, sembrava venire da molto lontano.

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Il bazar persiano è un luogo dove tutto è possibile, dove quadri incisi nella pietra come tetre lapidi vengono venduti con successo agli acquirenti più facoltosi, dove i gioielli afghani si confondono tra i meravigliosi tappeti dei nomadi Qasqai o tra le mattonelle dipinte a mano con le storie d'amore di Nezami e dove distese colorate di arance e melograni si incastrano tra ceste di anacardi allo zafferano ed enormi stecche di cannella. Qui nessuno parla inglese e bisogna imparare subito a fare la faccia del disinteressato. Frasi come "è troppo caro" o i numeri da uno a dieci, devono diventare parte del vocabolario per la sopravvivenza, se si desidera sentirsi mercanti sulla Via della Seta piuttosto che turisti ingannati dalla furbizia iraniana.

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"Io la selezione la faccio alla porta" mi dice un ragazzo italiano, parlandomi della sua vita. "Non lascio entrare tutti. Decido con attenzione chi ammettere e chi lasciare fuori. Per questo ho pochi amici".

Visitiamo un caravanserraglio lungo la Via della Seta, nel deserto, subito dopo Yazd.

"Ecco" -penso tra me e me- "La mia vita invece assomiglia più ad un caravanserraglio. Ci può entrare chiunque, è un luogo di accoglienza dove tutti sono pellegrini in transito. Vanno verso altre direzioni, non si fermano mai troppo a lungo".

"Carino" mi dice il ragazzo italiano "ma è scomodo dormire qui nelle tende comuni, su questi materassi. C'è di meglio e per quattro soldi in più. Chi si fermerebbe qui? Intorno non c'è nulla, solo deserto".

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Come dargli torto.
In effetti, in quanti si sono fermati qui, in questo posto e, di riflesso, nella mia vita? C'è sicuramente di meglio, per pochi soldi in più.

Esco dalle tende e trovo Nasser, l'autista sufi del bus, sorridente, seduto al centro del caravanserraglio.
Gesticola un qualcosa.
"Miss! Miss! Music, dance! Sky, night... Beautiful!"

La guida iraniana lo interpreta per me.
Il caravanserraglio è diventato popolare tra i giovani. Portano strumenti e cantano fino a notte fonda quando, in silenzio, osservano le costellazioni e studiano astronomia.

Il caravanserraglio non è per tutti. Chi vuole stare comodo, non si ferma qui.
Questo è un posto solitario, di quiete assoluta, dove riposare e ammirare estasiati, lontani dal caos della quotidianità, un cielo senza paragoni.

Il caravanserraglio è solo per chi vuole rimanere senza fiato di fronte a milioni di stelle.

Chissà se è un po' così anche la mia vita.
Chissà se qualcuno si fermerà mai per ammirare le stelle.
Chissà.

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Posted by Marina_Calypso 11:27 Archived in Iran Comments (4)

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